PARTE 1..e intanto si va avanti..cosa ci ha insegnato l'avvincente sfida tra Abe e Maruyama
Da sempre tutti ci chiediamo perchè il judo giapponese sia così superiore a quello espresso da chiunque altro. Ok a questo punto si potrebbe parlare per ore spaziando dai temi della tecnica, a quelli della tattica, per arrivare fino ai metodi di preparazione fisica e mentale, agli strumenti educativi utilizzati (per altro molto discussi e discutibili in questo momento storico nella terra del sol levante). Bisognerebbe perdersi a raccontare cosa sia il judo, cosa insegna, arrivando a discutere di etica e filosofia. Beh in questa sede escludo di farlo. Mi piacerebbe invece però poter discutere della cultura di questo popolo, del loro modo di essere. Eh si! Lo scorso anno sono stato in Giappone, in vacanza, e ho conosciuto più da vicino questa parte di mondo dove la modernità si scontra con la tradizione, dove rimane intatatto un fascino pervadente, quanto le contraddizioni derivanti dallo stesso, dove ad esempio scorgi una "frenesia" "composta", una gentilezza quasi imbarazzante, ma anche un rigido rigore...si insomma avete capito. Fatto il preambolo Domenica 13 qualcosa (qualcosina) di più c'ho capito, almeno per quel che riguarda il judo. Il Giappone era chiamato a scegliere il titolare a 66 kg per le olimpiadi di Tokyo 2021(categoria nella quale l'Italia vanta il n 1 della ranking mondiale). Il destino voleva che fosse proprio impossibile decidere a priori chi portare tra Maruyama, campione del mondo 2019 e Abe campione del mondo 2018, e così la soluzione tanto spietata, quanto in stile samurai è stata quella di convocarli al Kodokan (la sede nipponica della federazione, ma anche, per tutti, la casa del judo, ovvero quel luogo, anche se non è più lo stesso, dove jigoro kano mise su il suo primo dojo). Solo un addetto ai lavori potrebbe capire quale possa essere stata la tensione attorno all evento, ed io dovrei essere un romanziere per farlo capire ai più. La faccio breve per arrivare dove voglio arrivare. L'incontro, che si è svolto, come detto, in uno dei piani di questo mistico palazzo di fronte solo a pochissimi autorizzati (ma ripreso e diffuso in tutto il mondo, forse anche con l'obiettivo di rilancio di una disciplina tradizionale, che come detto sopra non attraversa un momento facile ) non ha tradito le attese, protraendo la sfida (avvenuta senza esclusione di colpi, tecnica e tattica) per oltre 20 min (un incontro di judo dura 4 minuti effettivi) fino a quando una decisione al limite lo ha chiuso. Un incontro anche discutibile, forse non bellissimo, contornato da decisioni arbitrali affrettate oppure non prese, un incontro normale insomma, tra due delle migliori espressioni "judoistiche" del momento. Ma a suscitare interesse è stato il dopo, forse è proprio li che troviamo la chiave se non di tutto, ma di molto. Il controllo delle emozioni... pur dirompenti, l accettazione degli eventi... senza discussioni (o forse trattenendole), il primo pensiero... per chi ti ha allenato, per chi ha condiviso con te la fatica del percorso, il rispetto, anzi la riconoscenza... nei confronti dell'avversario, donatore di opportunità. ED ECCO QUINDI DOVE MI SEMBRA DI SCORGERE IL LORO SEGRETO. NELLA CAPACITA' DI RICONOSCERE IN PRIMIS, E SFRUTTARE POI, L'OPPORTUNITA'... IN OGNI SITUAZIONE, SIA SPORTIVA, MA ANCHE SOCIALE CHE SIA E DI SAPERLO FARE CON UMILTA'. Forse nel judo il mistero del "miglior uso dell energia" sta proprio in questo, nel saper cogliere l opportunità che ci viene concessa, ma in modo esteso, cioè non contestuale, come può essere un episodio sportivo, ma con un approccio ampio culturale, sociale, un fattore intimistico, caratteriale, come fosse un occasione di arricchimento. Non è solo una questione di kuzushi quindi, qui la questione è l'interpretazione dell'esistenza. I Giapponesi hanno una parola per tutto chissà se questa condizione la chiamano in qualche modo. :-)